Testi Critici
Presentazione di una mostra personale di Franco Daverio nel
1968 – Riportato sulla monografia “Franco Daverio Opere 1933-1995
Edizioni Mazzotta
“Daverio fino a quando, ancora ragazzo, era mio allievo (e il parlare d’un allievo è quasi un modo di confessarsi) riusciva a incidere nei suoi disegni una tensione lirica che nessuno gli avrebbe potuto né dare né insegnare.
Io cercavo, e il mio insegnamento era volto soprattutto a questo, a far sì che nei ragazzi che mi ascoltavano si facesse luce quel mondo arcano in cui la fantasia, che è in tutti noi e nei ragazzi è ancora viva e affiorante addirittura negli sguardi, nei gesti, trova il lessico armonioso con il quale riesce ad esprimersi.
Il temperamento di Daverio rispondeva fin dall’ora con magnifiche impennate liriche e i suoi disegni, che la guerra ha purtroppo distrutti, darebbero testimonianza di quanto sia autentico, nelle opere che egli oggi espone, questo suo modo d’interpretazione della realtà che, pur partendo da quel suo mondo malinconicamente trasognato, trova le dure proiezioni della vera scultura.”
Tratto dalla presentazione
della monografia “Franco Daverio Opere 1933-1995
Edizioni Mazzotta
“[…] Dei risultati del giovanissimo allievo Melotti amava sottolineare la “tensione lirica” e le “dure proiezioni della vera scultura”.
Certo, una traccia di quel creativo insegnamento è rimasta, ben riconoscibile, nel modo di operare e di riportarsi a un libero universo fantastico che caratterizza l’opera multiforme di Franco Daverio.
[…] Da qui deriva l’attenzione, dichiarata nel lavoro di Daverio, alla “sapienza del fare”, mai contrapposta alla capacità di costruire simboli, emblemi e figure. […] …ha avuto modo di affinare una propria tecnica che gli ha consentito di dare corpo a fantasmi che hanno memoria di una cultura antica, radicata nella materialità certa delle cose.
Il preciso confine di ogni opera risulta delimitazione di campo di un’invenzione libera e insieme riconoscimento di una fisica e individuata consistenza; dà un chiaro e definito carattere a ognuno degli interventi dell’artista.
Le numerose sculture realizzate in oltre un cinquantennio di attività vanno considerate prove sicure di un singolare itinerario d’artista.”
Tratto dall’articolo “Acquisite dal Macba di Barcellona 4 opere grafiche di Daverio”
“L’Eco di Bergamo”, 1997
“C’è una casa alla Conca Fiorita dove hanno preso corpo i sogni dell’infanzia, dove figure stilizzate ora pingui e corpulente ora stiacciate e longilinee, dove teste primordiali e arcaiche ti guardano con i propri occhi millenari.
Su miriadi di fogli vengono conservati i disegni onirici nati di getto nell automatismo di un ductus grafico surreale e modernissimo.
Si tratta, e molti avranno già capito, dello studio di un artista scultore, artigiano dei materiali dell’immaginario, che dalla sapienza della mano ha saputo dar vita al mondo fluente che nasce da uno straordinario e incessante amore per l’uomo, come riflesso e riflessione scaturite dall’occhio interiore.
Le opere d’arte che egli realizza nei più diversi materiali possono essere al tempo stesso grandi e assai volumetriche oppure piccole e preziose come gioielli, o incise nei sassi di mare o modellate nella sabbia, per essere gelosamente raccolte oppure per venire cancellate dalle maree del tempo.
Queste opere d’arte vivono in sintonia con i ritmi biologici della natura, ne interpretano la persistenza atavica e la religiosità, la semplicità e il valore imprescindibile dell’umano e del divino. […] … predomina l’assoluta contemplazione della bellezza, un concetto assai raramente visitato nell’arte contemporanea, e che qui va perciò fatto salire ai primordi, al pensiero forte all’origine dell’arte.
Si spiegano così i richiami del resto non celati e affatto congeniali con le arti primitive, italiche preromaniche ma anche amerindie… […] Il Macba, Museo di arte contemporanea di Barcellona, ha prescelto del nostro autore “per la sua vicinanza in certi momenti con le immagini di Klee, Mirò e Dubuffet” una serie di disegni tra i più felici e immediati, quasi un elogio al dinamismo lirico e ludico del segno, un inno alla gioia e al piacere creativo.
”Tratto dall’articolo “Daverio diede forma alla sacralità della vita” “L’Eco di Bergamo” , mercoledì 18 ottobre 2000.
“[…] Il suo talento e la profonda originalità del suo mondo visuale, l’amore per l’onestà della propria arte di nobile e raffinata plasticità. Le sue ultime tracce creative e premonizioni costituiscono un testamento umano vivo della sua arte. Le opere che l’artista ha lasciato conservano tutto il mistero, l’aura delle grandi creazioni della tradizione plastica.
Vi si rivela l’intensa sacralità quale è espressa nel grande Cristo crocifisso, eseguito nel ‘50 e donato nel 1993 a Papa Giovanni Paolo II.
[…] …riassumevano i contenuti stilistici di diversi generi e tecniche nelle quali si espressero le molteplici attività creative dell’artista. […] L’intera opera di impronta surreale si riferisce non solo alla realtà esteriore fattuale, ma a quella interiore simbolica.
[…] … L’arabesco elegante del ductus grafico traccia labirinti onirici, genera memorie suscitando un mondo di luoghi abitati da “fantasmi”, proiezioni e cognizioni del presente.
Ingabbiate nel recinto del foglio, le immagini prodotte dalla fantasia ritualizzano lo spazio, liberandolo dal vuoto della pagina inespressa.
Ne nasce così un racconto magico e seducente, la “sacra” rappresentazione della vita nelle nozioni più umane, libere, medianiche, condotte sul filo designato dal destino.
Daverio conferma in questo repertorio estremo la propria natura di grande affabulatore, di creatore fertile e disegnatore virtuoso.
Egli segnala alle nuove generazioni quanto un artista sa trasmettere se non è subordinato a mode imposte dal mercato.”
Franco Daverio: scultura oltre la scultura.
Tratto dalla monografia “Franco Daverio Opere 933-1995
Edizioni Mazzotta
“ […] Ma la sostanza moderna di Franco Daverio va piuttosto identificata in quella generazione di artisti che ricercarono le proprie fonti in valori primitivi,
funzioni arcaiche. L’insistita fantasticheria su un tema può favorire e facilitare quel che gli psicanalisti definiscono il “ritorno del rimosso. […]”
Tratto dal comunicato stampa della Mostra – Centro Culturale N.Rezzara
“L’Eco di Bergamo” 29 Giugno 1995
“[…] Un interminabile, fantasioso, enigmatico pensiero unico, l’opera artistica di Franco Daverio.
Dalle indisciplinate estrinsecazioni con le quali invadeva i suoi quaderni di giovane scolaro, suscitando i rimproveri del maestro, scandalizzato dal disordine di quell’allievo così originale, alla altrettanto apparentemente indisciplinata invasione di ogni spazio della sua casa da parte delle opere che, ancora oggi, nascono, senza sosta, dalla inesauribile creatività della sua straripante fantasia , forse poco è cambiato nello spirito di questo artista”.
[…]… modo di operare e di riportarsi ad un libero universo fantastico che caratterizza l’opera multiforme di Franco Daverio. […]
Le creature si contorcono in linee sottilissime o attorcigliate o accresciute o arricchite da tocchi di colori raffinati. Siamo immersi nella raffigurazione più sfrenata, ricca di simbologie spontanee con metamorfosi tra abitanti del mondo ittico e stravaganti augelli”.
“Arte del silenzio” quella di Daverio, da ascoltare con il cuore rispettandone il mistero e la gratuità.”
“ Le creature” di Franco Daverio.
Tratto dalla monografia “Franco Daverio Opere 1933-1995
Edizioni Mazzotta
[…] D’altro canto, poiché l’atmosfera delle piccole città può avere “connotati cosmopoliti”, per gli identici motivi le metropoli ignorano i loro più grandi figli …[…] Franco Daverio […]… costituisce un’eccezione e “un caso limite” nel mondo della italiana, e non soltanto in ambito locale. Chi scrive lo fa non da critico militante, ma da amico e compagno d’arte, ed è molto sorpreso nell’aver rilevato, sfogliando la “biografia” di Daverio, quanto esiguo sia il materiale critico e come il silenzio più assoluto abbia avvolto l’artista, bandolo di qualsiasi conforto e supporto a superare. […]
Tratto da “Fantastiche creature”
Zanichelli Estate ‘95
“[…] Franco Daverio ha lavorato nel silenzio del suo studio in compagnia delle sue figure totemiche cariche di un sottile fascino magico. Non curandosi di mode, mai inseguendo una presenzialità vacua e narcisista, ascoltando solo la sua prepotente vitalità che sembra crescere con gli anni, l’artista ha accumulato una vasta e fantasiosa produzione plastica dove le opere astratto-geometriche si alternano a quelle basate sopra una figuratività allusiva e magica. “Un blocco di terra e cielo, questa è la materia dello scultore, per dare all’uomo di oggi il suo spazio, modellando la natura dove l’uomo vive e non rappresentandola. Forte personalità silenziosa, come quella di Brancusi e Melotti; raffinata competenza manuale da homo faber capace di dare forma e sostanza alla progettualità; enigma e gioco alla base dell’intuizione creativa come sempre avviene in chi si interroga sui destini dell’uomo e dell’arte senza ricorrere a cattedratiche prediche.”
“Tutte queste creature avevano bisogno di uscire dalla prigionia del mio studio, chiedevano nuova aria e nuovi spazi, dovevano incontrare altra gente” ci dice Franco Daverio lanciando sguardi protettivi e innamorati alle sue statue che popolano lo spazio suggestivo del Teatro Sociale.
“Il fascino che circonda le opere di Daverio trae origine dalla apparente semplicità della raffigurazione. La forma, derivata per successive decantazioni, è quella della figura umana resa essenziale dalla purezza delle linee, dall’equilibrio dei volumi, dalle preziose grafie che accentuano un particolare. Tutta l’opera di Daverio prende forma nelle materie e nelle tecniche più preziose: la pietra, materia forte ed espressiva, arcaica e naturale, quella delle sculture del paleolitico e delle statue dell’Isola di Pasqua, delle statue-stele e dei signacoli nelle necropoli, dei maestri lapicidi campionesi; e poi il legno, il rame, l’argento, l’oro sbalzati e cesellati in grandi forme o in piccoli preziosi gioielli. Un’arte morta, arcaica e archetipa, che non parla al fragore dell’oggi? Provate ad entrare nel Teatro Sociale e lasciatevi accompagnare nel silenzio meditativo da quell’anfiteatro di presenze magiche che rievocano la storia del mondo e dell’uomo. Senza enfasi, senza retorica, con quella lievità giocosa e un briciolo di ironia che sempre ci salva dal prenderci troppo sul serio, Daverio sa racchiudere nella scultura tutta la saggezza del mondo”.
Tratto dall’articolo “Daverio lo scultore silenzioso”
“Il Giornale di Bergamo”, 15 Novembre 1977
“[…] Il riserbo e la timidezza di Daverio sono veramente eccezionali nel panorama dell’arte contemporanea in cui, spesso, dilettanti di terzo ordine riescono a crearsi un “battage” pubblicitario e una notorietà che i veri maestri operanti nel silenzio dei loro studi non riescono neppure ad immaginarsi.
Il silenzio che avvolge Daverio nel suo modestissimo studio (…) è comunque, così denso, che rischia di avvolgere anche la sua ultima opera e cioè il portale della Chiesa di Redona. (…) ne denota la semplicità e, così, la composizione organizza in una sorta di astrazione e di riassunto, il mondo di Daverio.
Un mondo fantastico, primitivo, barbarico, con perenni richiami alla ieraticità degli artigiani dell’anno 1000.
(…)… è l’uomo Daverio che si presenta nella sua realtà fatta di mistero, rigore, mestiere, estro.
Tratto dall’articolo “Scultore che sa raccontare la storia come una fiaba”
“L’Eco di Bergamo”, 29 Giugno 1995
“ […] Franco Daverio è un artista solitario. Non ha mai frequentato salotti o inaugurazioni e, ne sono certo, nessuno l’ha mai incontrato in quelle occasioni mondane così ricercate dagli artisti d’oggi. […] Quanto invece abbia lavorato e prodotto nella solitaria continuità del suo studio, sostenuto dalla consapevolezza di una coerenza eccezionale, ci è dato di constatarlo… Ne risulta un’immagine anomala di scultore, solitario e tanto coerente che non si legge alcuna discontinuità tra le sue prime opere degli anni Trenta rispetto a quelle degli anni più recenti. […] Daverio ha sempre lavorato con la medesima freschezza e genuinità, con identico trasporto e con immutata ispirazione.
Non c’è mai nelle sue opere la stanchezza di un mestiere ripetitivo, eppure si può anche dire che, per tutta la sua vita, non abbia fatto altro che inseguire e cercare di cogliere le medesime immagini,… fatte di figure e di personaggi ricorrenti, di simboli e emblemi costruiti sull’emozione di una forma arcaica, quasi totemica, ma non meno attenta nella sensibilità delle avanguardie contemporanee.
Spesso è l’ostentazione di una tecnica grafica o plastica a costruire l’immagine: una linea che si rincorre, la tessitura di una superficie, la patinatura sapiente dei materiali, la valenza espressiva di una tecnica raffinata e coltivata con attenzione artigianale.
Altre volte è il gioco di un segno che costruisce la forma: una linea, un filo astratto, materico e celebrale ad un tempo, lungo il quale si dipana un racconto, una storia, una favola fatta di sottile ironia, di improvvisi lampi lirici sempre sostenuti da un sentimento di leggerezza e di spontaneità creativa.
[…]… abbia costantemente inseguito la forza evocativa di alcune immagini ricorrenti che costituiscono il suo repertorio formale: presenze femminili, di una plasticità solo apparentemente fuori dal tempo, invece profondamente radicata nel linguaggio e nell’affermazione della propria modernità e del proprio consapevole rapporto con la storia.
[…] … che si riconosce la creatività più profonda del suo lavoro di artista, così lontano da ogni debolezza e da quella fragilità culturale, tipica dei minori, che nel panorama artistico di oggi traspare diffusamente negli incessanti tentativi di ricominciare sempre da capo, per rivolgersi esternamente a qualcosa di estraneo dall’esperienza reale dell’uomo e dell’artista stesso.
La consapevole determinazione Daverio, la sua apparente fissità attorno ad un tema ricorrente, è invece il segno più evidente della sua grandezza. Una grandezza umana prima ancora che artistica, che risalta ancor più significativa in un momento in cui, sempre più spesso, ci tocca assistere alla miseria e all’angoscia di troppi artisti incapaci di costruire il segno e il senso della propria esperienza, occupati ad inseguire i miraggi dell’attualità e dell’aggiornamento culturale.
[…] Eppure questa parentela con Fausto Melotti, più che nell’antica memoria di una frequentazione giovanile, ci sembra di coglierla oggi con evidenza nelle sue stesse opere: nella plasticità classica delle sue sculture, nell’arcaismo evocativo delle sue forme oniriche e metafisiche.
[…] …ritrovare la medesima moralità che anima il mondo creativo di Daverio. […] …ho un pensiero sintetico che, più di ogni altro intervento critico, potrebbe ben stare ad epigrafe e a commento di tutto il lavoro di Franco Daverio: “Non possiamo più ascoltare fiabe, la storia è stata troppo cattiva con noi. Però possiamo raccontarci la storia come fosse una fiaba.”
Tratto da “Note d’arte”
28-2-58 “L’Eco di Bergamo”
[…] A me, e l’ho detto in altre occasioni, ricorda il mondo incaico, carico di magia ma pur tuttavia affondato nella sostanza della materia, così certe sculture di Cuzco, così certi sbalzi di Bogotà, così i vasi umanizzati del Perù occidentale.
Alcune figure di donna ad involuzioni ellittiche sovrapposte hanno il segno delle sculture di Moore.
E forse appare proprio a ricordo degli Incas un certo atteggiamento primordiale di Lipchitz. Con questo ho detto delle parentele ideali di Daverio o meglio quelle che gli attribuisco.
E’ poi un vero piacere il controllo della abilità costruttiva di queste sculture, tanto che una prima analisi potrebbe portare ad un giudizio critico espresso nel senso di un compiacimento tecnico.
Sotto questo aspetto immediato, come è quello monumentale, traspare la coscienza di un atteggiamento formale tra i più interessanti.
La ricerca dei piani e dei volumi condotta dal Daverio in più versi per ottenere risultati coerenti al suo desiderio di comunicare, potrebbe indurre anche in un giudizio di incoerenza stilistica, di contro ci si accorge che i larghi interessi del suo ragionamento conducono a conclusioni sempre eguali: la perfezione formale, nella perfezione tecnica, nella traduzione esatta della realtà spirituale.
[…] È da dire inoltre e, credo dato importante, che il Daverio è dei pochi artisti ai quali sia concesso di tentare con qualche certezza di positivo risultato, una partecipazione di studio alla sintesi delle arti, il che vuol dire che la sua scultura pensata in particolari condizioni di nascita, ha cittadinanza nella architettura moderna. […]”
Tratto dall’articolo “Fantasie e sogni di Franco Daverio”
“La Domenica del Corriere”, 17 giugno 1995
“Franco Daverio è uno di quegli artisti senza tempo né età che, col bagaglio delle sue fantasie e dei suoi sogni, gira per il mondo senza una meta ben precisa, nel contempo ritrova sempre frammenti della sua fanciullezza e dei suoi ricordi.
La sua anima randagia segue passo passo il suo cammino di artista buono e fanciullo, proteso alla pura ricerca di archetipi dissepolti dall’inconscio: ogni mezzo pertanto diventa adatto a specchiare le sue emozioni, il suo immaginario “fabultante”, le sue aspirazioni e tutto quanto che, in un turbinio interiore, emerge alla sfera intellettiva.
Sono pezzi di umanità che si accavallano pertanto tumultuosamente nella sua mente creativa e rappresentano un palcoscenico compositivo vivo e palpitante che attanaglia la mia indole poetica in un abbraccio a queste forme, informi ed in una vibrante carezza alla fascinosa materia.
Materia ora colorata con saggezza emotiva (rara in uno scultore che si manifesta spiccatamente in forme plastiche) ora levigata con intimo trasporto sensuale; materia che domina la scena evocando fantasie storicizzate nella vita dell’uomo attraverso le caverne e i graffiti nelle rocce, quale rappresenta e appare ai nostri sguardi il “bestiario umano” di Daverio. […]
Modella direttamente l’artista, mai fermandosi di fronte alla durezza del materiale e alla sua friabilità: egli procede orgogliosamente nel ritmo incalzante dei vari piani prospettici spinto talvolta quasi da una forza dionisiaca inconscia che lo aveva messo in evidenza nel periodo della scuola accanto al suo grande maestro Fausto Melotti, il quale raccoglieva tutti disegni dell’allievo vedendone i germi della grande espressività. […]”