Il ricordo. Lo scultore scomparso 22 ottobre del1999 tradusse la realtà con segno incisivo e lirico.
Articolo de “L’Eco di Bergamo” mercoledì 18 ottobre 2000.
La memoria dello scultore Franco Daverio è viva nell’ambiente artistico bergamasco e in coloro che poterono apprezzarne la personalità riservata e schietta. Il suo talento e la sua profonda originalità del suo mondo visuale, l’amore per l’onestà della propria arte di nobile e raffinata plasticità. Le sue ultime tracce creative e premonizioni costituiscono un testamento umano vivo della sua arte. Le opere che l’artista ha lasciato conservano sotto il mistero, l’aura delle grandi creazioni della tradizione plastica.
Vi si rivela l’intensa sacralità quale è espressa nel grande Cristo crocifisso, eseguito nel ‘50 e donato nel 1993 a Papa Giovanni Paolo II.
Le antologiche che le città di Erba e di Bergamo dedicarono a Daverio nel ’95 riassumevano i contenuti stilistici di diversi generi e tecniche nelle quali si espressero nei molteplici attività creative dell’artista. Già allievo prediletto di Fausto Melotti alla Scuola d’Arte di Cantù, il maestro ne incoraggiò per molti anni gli esiti. L’intera opera di impronta surreale si riferisce non solo alla realtà esteriore e fattuale, ma a quella interiore simbolica.
Si pensi qui e i numerosi ciottoli e marmi scolpiti da Daverio a Levanto, e alle copiose figure in legno e rame sbalzato d’ispirazione arcaica che animano il suo universo fantastico (Donna con trecce, 1957).
Abbandonati i fertili richiami alle arti primitive e romaniche (Via Crucis, chiesa di San Nicolau, Milano, 1952) che seguirono al novecentismo di certi ritratti e figure austere degli straordinari esordi erbesi.
Daverio attraversa con il suo segno incisivo e lirico e un altrettanto personale scultura totemica (Composizione astratta 1960) la realtà odierna e il dato naturale.
Nasce, ancora fino a pochi giorni dalla morte, una squisita produzione di pittura e grafica nelle quali l’artista eccelleva per propensione naturale. L’arabesco elegante del ductus grafico traccia labirinti onirici, genera memorie suscitando un mondo di luoghi abitati da “fantasmi”, proiezioni e cognizioni del presente.
Ingabbiate nel recinto del foglio, le immagini prodotte dalla fantasia ritualizzano lo spazio, liberandolo dal vuoto della pagina inespressa.
Ne nasce così un racconto magico e seducente, la “sacra” rappresentazione della vita nelle nozioni più umane, libere, medianiche, condotte sul filo designato dal destino (Il dono, 1995).
Daverio conferma in questo repertorio estremo la propria natura di grande affabulatore, di creatore fertile e disegnatore virtuoso.
Egli segnala alle nuove generazioni quanto un artista sa trasmettere se non è subordinato a mode imposte dal mercato.
Di Bruno Talpo.
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