Donato al Papa un crocefisso dello scultore Franco Daverio (giugno 1993)
Circa tremila fedeli della diocesi di Bergamo, guidati dal Vescovo mons. Roberto Amedei, il 3 giugno hanno raggiunto Roma, per ricordare il trentesimo anniversario della morte di papa Giovanni XXIII e il venticinquesimo di inaugurazione del seminario a lui dedicato sul Colle s. Giovanni in Città Alta.
Al termine dell’udienza che il Santo Padre ha concesso ai pellegrini bergamaschi, nell’aula Paolo VI, il Vescovo di Bergamo ha offerto a Giovanni Paolo II un prezioso crocifisso ligneo, ricevuto in dono dallo scultore Franco Daverio.
E’ stato uno sguardo a dare il via a questo a quest’opera.
Si era già inizi degli anni 50; nel dopoguerra stava velocemente correndo con ottimismo verso un certo benessere; ogni tanto però attraverso un libro o un film tornavano alla memoria gli orrori della guerra e in particolare in quelli nei campi di concentramento.
I pensieri e i sentimenti, quando si fanno vita vanno sempre ad abitare in un qualche luogo concreto del nostro mondo.
Sembrano obbedire ad un segreto richiamo. L’artista quando veramente lo è, ha il dono di scovarli e di metterli in luce.
Franco Daverio ha visto nella naturale malformazione della corteccia di un pero un ginocchio ferito, brutalmente scarnificato.
Si è messo in ascolto, ha sentito un richiamo: quella ferita urlava il dolore di mille e mille prigionieri.
Andava accarezzata e tolta dall’oblio punto ad aiutarlo sono stati 2 rami che interrogavano il cielo. Ormai le mille e mille voci erano diventate “voce di uno”: il Cristo in Croce.
La bella intuizione passa ora nelle mani dello scultore.
In lui è la mano ad ascoltare, a bussare, ad accogliere, ad accarezzare…
E se un incontro autentico avviene, se l’opera vera nasce, questa sarà semplicemente bella, o meglio se detta in greco “kalos” cioè chiamata, fatta di voci e rimandi, in un unico grande dialogo (fatto di piante, di uomini, dell’uomo di Nazareth…) in cui, per chi ha fede, il primo e l’ultimo a parlare è Dio.
Se queste note preparano a guardare il Cristo del Daverio, l’emozione vera è tuttavia riservata a chi lo avvicina e semplicemente lo guarda: quelle mani che convertono la disperazione in gesto di accoglienza ( Papà. Abbà, mi fido di te”), quella testa che non ha età né epoca né razza e che è di uno che sta soffocando (scientificamente è proprio questa la morte di un crocifisso), quella croce (di castagno) che diventa triplice personaggio ( ci sono incise gli occhi, le bocche, il naso)…tutto questo è da “vedere” e da “ascoltare”.
Chissà se il dolore e i lamenti di questi giorni ( ex Jugoslavia, Somalia…) nel loro tragico espandersi non siano venuti ad abitare anche questo legno.
Può succedere anche questo perché un’opera vera non muore e continua a dialogare.
E’ comunque bello che grazie al Daverio, i bergamaschi lascino al Papa qualcosa di vivo, come viva vuole essere la fede che vede nel Cristo crocifisso la passione di Dio per l’uomo.