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Fantastiche creature

Fantastiche creature di Sem Galimberti
Zanichelli estate 95, rivista di cultura&spettacolo

Per più di vent’anni, dall’ultima mostra alla galleria La Torre, Franco Daverio ha lavorato nel silenzio del suo studio in compagnia delle sue figure totemiche cariche di un sottile fascino magico. Non curandosi di mode, mai inseguendo una presenzialità vacua e narcisista, ascoltando solo la sua prepotente vitalità che sembra crescere con gli anni, l’artista ha accumulato una vasta e fantasiosa produzione plastica dove le opere astratto-geometriche si alternano a quelle basate sopra una figuratività allusiva è magica.
“Un blocco di terra e cielo, questa è la materia dello scultore, per dare all’uomo di oggi il suo spazio, modellando la natura dove l’uomo vive e non rappresentandola”.
Forte personalità silenziosa, come quella di Brancusi e Melotti; raffinata competenza manuale da homo faber capace di dare forma e sostanza alla progettualità; enigma e gioco alla base dell’ intuizione creativa come sempre avviene in chi si interroga sui destini dell’uomo e dell’arte senza ricorrere a cattedratiche prediche. “Tutte queste creature avevano bisogno di uscire dalla prigionia del mio studio, chiedevano nuova aria e nuovi spazi, dovevano incontrare altra gente” ci dice Franco Daverio lanciando sguardi protettivi e innamorati alle sue statue che popolano lo spazio suggestivo del teatro sociale. Fino al 30 giugno qui si possono ammirare le grandi sculture e i dipinti, mentre le opere di grafica sono esposte nell’atrio della biblioteca Mai e i preziosi, fantasiosi monili nella galleria di Vanna Casati in Piazza Vecchia. Nato a Erba (Como) nel 1917, Daverio frequenta il corso di plastica moderna condotto da Fausto Melotti alla scuola di arti applicate di Cantù. “Fin da quando, ancora ragazzo, era mio allievo (e il parlare di un allievo è quasi un modo di confessarsi) riusciva ad incidere nei suoi disegni una tensione lirica che nessuno gli avrebbe potuto né dare né insegnare. Melotti lo considera l’allievo migliore e raccoglie in studio le sue opere giovanili purtroppo distrutte nel corso di un bombardamento a Milano. Vince un premio per il disegno alla Galleria del Milione, pubblica xilografie su Quadrante, riceve gli elogi di Le Corbusier. Dopo una parentesi lunga sette anni regalati all’assurdità della guerra, Daverio si dedica completamente alla scultura e alla pittura eseguendo pubbliche commissioni religiose e civili. Nel 1957 il Corriere Lombardo annuncia che Daverio lascia la Brianza per trasferirsi a Bergamo. Qui organizza la sua prima mostra personale e soprattutto mette famiglia, casa e bottega. I suoi figli seguiranno le orme paterne e avvieranno una fiorente e originale attività di orafi in via Sant’Alessandro. Il fascino che circonda le opere di Daverio trae origine dall’apparente semplicità della raffigurazione. La forma, derivata per successive decantazioni, è quella della figura umana resa essenziale dalla purezza delle linee, dall’equilibrio dei volumi, dalle preziose grafie che accentuano un particolare. Si veda, ad esempio, “il giocatore con cerchio” del 1959: dalla luce che scorre da volume a volume grazie alle vibrazioni delle superfici si arriva alla linearità circolare del filo di ferro che rende leggera la posa statuaria, quasi a bilanciare il basamento. Così come il fiore e la foglia caratterizzano le due opere degli anni sessanta chiamate Gea, omaggio alla donna e alla terra come matrici originarie di vita. Tutta l’opera di Daverio prende forma nelle materie e nelle tecniche più preziose: la pietra, materia forte ed espressiva, arcaica e naturale, quella delle sculture del paleolitico e delle statue dell’Isola di Pasqua, delle statue-stele e dei signacoli nelle necropoli, dei maestri lapicidi campionesi; e poi il legno, il rame, l’argento, l’oro sbalzati e cesellati in grandi forme o in piccoli preziosi gioielli. Un’arte morta, arcaica e archetipa, che non parla al fragore dell’oggi? Provate ad entrare nel Teatro Sociale e lasciatevi accompagnare nel silenzio meditativo da quell’anfiteatro di presenze magiche che rievocano la storia del mondo e dell’uomo. Senza enfasi, senza retorica, con quella lievita giocosa e un briciolo di ironia che sempre ci salva dal prenderci troppo sul serio, Daverio sa racchiudere nella scultura tutta la saggezza del mondo. Provare per credere.

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