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60 anni di opere dall’avanguardia sino alle civiltà più lontane

L’Eco di Bergamo 3 giugno 1995

Franco Daverio presenta per la prima volta la sua attività

Esposte in città alta al teatro sociale, alla mail e in una galleria.

È un “bambino” di 78 anni dicono di lui i figli Luca e Simone mentre lui, Franco Daverio, l’artista cui è dedicata la personale inaugurata ieri presso il Teatro Sociale in Città Alta, con opere anche in altre due sedi, continua ad aggirarsi felice tra le sue sculture, negli spazi surreali del vecchio teatro.

“Io, dice, posso lavorare per giorni senza interruzioni, ma sono pigro quando c’è da fare una mostra”. Ed è infatti per questa ragione che la sua produzione, raramente esposta, sebbene di notevole interesse, è stata scelta per un’ampia esposizione, divisa fra il Teatro Sociale, dove prendono posto rilievi, sculture e alcune tele, l’atrio della biblioteca “Mai” che ospita numerosi disegni e alcune incisioni, e la Galleria Vanna Casati in Piazza Vecchia, dove si possono ammirare minuscole deliziose sculture e gioielli di sapore barbarico.

Originario di Erba (comune che ha patrocinato la manifestazione) ma bergamasco di adozione (risiede a Bergamo dal 1957) Franco Daverio, classe 1917, ormai sessant’anni di attività alle spalle, avendo iniziato nella Milano degli anni 30 quale allievo di Fausto Melotti.

La partecipazione alle riviste “Il Milione” e “Il quadrante” che riportano suoi disegni astratti, la presenza alla Triennale nel 36, i lusinghieri ed incoraggianti giudizi del maestro ne tracciano subito un profilo lusinghiero chiama una lunga interruzione per il servizio militare. (Tutto tempo perso si rammarica l’autore, “a che serve la guerra?”). Negli anni cinquanta riprende la sua attività creando figure a sbalzo o a tutto tondo accomunate da un potente arcaismo e da una valenza simbolica molto intrigante. Tornano spesso nella sua opera figure umane con tutta la loro carica emotiva (numerose sono le “Maternità”) o con il loro mistero esistenziale (si veda lo sbalzo con “I profeti” del 1956 e la statua in legno dorato del ’63) o con la forza primigenia (le varie edizioni di “Gea” e tutte le figure femminile).

Qualche volta egli indugia su “invenzioni” plastiche vicine al surrealismo, che caratterizza con maggior evidenza le pitture e disegni e di frequente rifinisce la superficie con sottili decori incisi, e tocchi materici e cromatici. Ma ciò che emerge maggiormente è la loro essenzialità antica, che richiama di volta in volta le civiltà precolombiane, la più severa scultura romanica e gotica, la ieraticità dei “kouroi” dorici, il totemismo africano e il simbolismo orientale.

La mostra che resterà aperta fino al 30 giugno, è corredata di un catalogo ( edito da Mazzotta) con interventi di Vittorio Fagone, Mirando Haz, Bruno Talpo, don Giuseppe Sala e Fausto Melotti.

Antonia Abbattista Finocchiaro

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